ProMontevecchia

Montevecchia Manzoniana

Ovvero, come si chiamavano “I BRAVI” Montevecchini?

Montevecchia nel 1600 era molto diversa da come la vediamo oggi.
La esclusività del lavoro avveniva nei campi e la ricchezza veniva dalla vendita dei suoi prodotti. Chi possedeva ampie porzioni di territorio era ricco… chi lo coltivava molto meno.

I promessi sposi ch1
Illustrazione tratta da “I promessi sposi” dell’incontro tra don Abbondio e i bravi
Di Francesco Gonin (1808-1889)
Edizione del 1840 dei Promessi Sposi

Nel 1600 a Montevecchia ci sono state due epidemie da peste (quella manzoniana). Su 450 abitanti di allora ne sono morti 150. Vi è stato anche un terremoto molto forte che ha distrutto alcune cascine, con morti e feriti. Non è quindi insolito che la popolazione di montevecchia aspettasse con quasi ansia dei momenti di svago e questi arrivavano solitamente nelle feste di paese, la più importante delle quali è la festa di S. Giovanni Battista decollato il 29 Agosto.

Quella memorabile è stato il 29 Agosto del 1617.
Qualche avvisaglia era arrivata dalla visita di san Carlo Borromeo che nel 1571 dopo una visita a Montevecchia descrive alcuni grossi problemi: La domenica si tira al bersaglio perdendo messa e richiamando anche molti spettatori (che perdevano anche loro messa). Si fanno varie occupazioni tranne quelle religiose quali: caccia, taglio legna, giochi nelle bettole, canti e balli. In chiesa entrano donne senza velo e uomini che non si inginocchiano. Ma sopratutto i Montevecchini non mandano i figli a dottrina e non danno alcun ascolto alla parola del curato.

Ma arriviamo al 29 Agosto del 1617. A Montevecchia vi erano 4 famiglie che detenevano i maggiori possedimenti e quindi le maggiori ricchezze: i DE REGIBUS, i MANTEGAZZA, i SOROLDONI e gli SCACCABAROZZI. Come ben descritto nei Promessi sposi, queste famiglie erano spalleggiate e protette da personaggi di pochi scrupoli denominati bravi, che agivano impunemente con la certezza che qualsiasi cosa facessero sarebbero stati protetti dai loro signori.

Le autorità civile o religiose non incutevano a costoro alcun timore. Il 29 agosto di quel fatidico anno arrivarono in Piazza tantissime persone (più di quelli che vediamo alla domenica nei nostri giorni)… arrivavano da tutti i paesi del circondario attratti dal tipo di occasioni che la piazza del paese di Montevecchia riusciva a fornire.

promessi sposi
G. Bertini, Renzo e Lucia sposi.
Litografia (1898), Milano, Museo Manzoniano

Ogni angolo della piazza e delle strade vicine erano piene di bancarelle e di mercanti ambulanti, giocolieri, suonatori e giocatori d’azzardo (gioco delle tre carte e simili). Le taverne e le cantine erano piene di gente che scolavano centinaia di litri di vino locale che a quei tempi aveva una gradazione alcolica superiore a quello attuale (le viti di allora sono state distrutte alla fine dell 1800 dalla peronospora, ed il vino di Montevecchia era molto noto per la gradazione alcolica data dall’esposizioni delle vigne a sud). Le ragazze di Montevecchia non aspettavano altro che mostrare le proprie grazie con i migliori vestiti della festa. La tragedia è scoppiata nelle prime ore del pomeriggio, quando quasi tutte le bottiglie di vino erano vuote e quando i ragazzi di montevecchia ma sopratutto quelli dei paesi vicini han cominciato a fare delle avance alle bellezze locali, che erano oltre che giovani contadine anche figlie o parenti dei boss del paese. Dopo balli e canti passati insieme in gruppo, le coppie che si erano formate si sono appartate nelle campagne vicine, dove son state trovate dai parenti.
I dettagli non si conoscono bene ma si sa che sono usciti come d’incanto degli archibugi e coltelli di varia lunghezza.

Le ragazze del paese sono state salvate dai parenti che hanno ucciso o ferito in modo grave gli uomini che avevano scelto per passare con loro il resto del pomeriggio. Il parroco titolare Pietro Maria Brambilla in quel giorno era gravemente ammalato e fu sostituito dal vice Curato Gerolamo Mazza.
Dopo i fatti le autorità civili ed ecclesiastiche hanno chiesto al Vice Parroco di fornire una dettagliata descrizione degli eventi incresciosi. Nel suo scritto (conservato nella curia arcivescovile di Milano) si legge:

Perché non è concesso a quelli boschi e a quelle selve ombrose di poter parlare?
Non dico altro delle bestemmie atroci, delle parole sporche e profane, delle contumelie che da velenose bocche uscivano. Ahimè che angoscia il sentirle.
Che dire delle pompe, delle sfogliature, delle vani ornamenti, delle risse, delle insidie, degli strepiti, delle chiassi, delle tumulti, delle nemicizie, delle robbamenti, delle figliuoli di famiglia verso suoi maggiori, delle stiatii (resistenze) de mariti verso le sue moglie per spendere li dinari malamente in queste vanità.
Tacerò io quelli spettacoli non so se gli chiami degni di compassione. Si vedevano alcune persone ciocche di dentro dal vino, di fuori ferite con taglienti e pungenti armi, con archibuggiate giacer in terra come morti e quello che è peggio fi sparata un’archibuggiata ad uno de Barzago che morse subito senza confessione sacramentale, morse un altro ferito da Tremonte quale appena potei confessare per via de segni, ne potrebbero essere morti altri che non so. Ma Dio sa come son partite di questa vita queste povere anime… In Chiesa poi molte persone armate d’ogni sorte et qualità et massime con gli archibugi con le corde accese…

La lettera del Vice Parroco (spedita al dicembre del 1617) non piacque ai suoi superiori che volevano conoscere i nomi dei colpevoli. Ma la lettera del Gerolamo Mazza, infarcendo di commenti moralisti i fatti, ne ha coperto la descrizione dei morti e feriti, con l’evidente paura di fornire nomi e di temere ritorsioni alla sua persona dai potenti locali. Infatti i due soli morti che lui aveva visto erano causalmente due persone non di Montevecchia ma di Barzago e di Tremonte.
La curia a questo punto incarica il Vicario di Missaglia, don Antonio Brioschi, di fornire spiegazioni più dettagliate sui fatti. In fondo la chiesa di Montevecchia dipendeva dalla Pieve di Missaglia.

Ma nel Febbraio del 1618 il Vicario risponde alla richiesta della Curia dicendo che passava la patata bollente nelle stesse mani del colendissimo e Molto Reverendissimo Monsignor Maggiolino (della curia di Milano)… sostenendo che Lui, il Vicario di Missaglia aveva interrogato il Vice Parroco di Montevecchia Gerolamo Mazza e aveva ricevuto la risposta che Lui era continuamente “sotto minaccia” per quei fatti incresciosi ed in persecuzione diparte di gentiluomini e che lui non aveva alcuna voglia di trovare rogne. Pertanto su tutti gli incresciosi accadimenti cadde lentamente uno coltre di silenzio.

Per anni a venire le successive feste del patrono di Montevecchia il 29 Agosto, giunsero da Milano decine di soldati armati che garantirono lo svolgimento della festa senza ulteriori disordini.

Landsknechte
I cinque lanzichenecchi
acquaforte di Daniel Hopfer, ca. 1530.

Nel 1628 vi furono due anni di carestia con raccolti quasi inesistenti. Poi nel 1630 arrivarono prima a Lecco e poi a Milano 10.000 lanzichenecchi (soldati mercenari tedeschi, che conquistarono Lecco senza sparare un colpo, perché li aspettavano dalla pianura, ma guide locali indicarono un sentiero per i monti che parte da Erve e scende dritto sopra Lecco, quando li videro… era troppo tardi) che portarono in Lombardia la peste bubbonica che uccise solo a Montevecchia 150 persone, mentre in paesi come Barzanò uccise TUTTI gli abitanti.
Questo pose fine a qualsiasi velleità di festeggiare nella festa del patrono per molti anni a venire.
La fossa comune di questi montevecchini si trova presso la Cascina Casarigo.

Si ringrazia per il contributo nella stesura del materiale editoriale  della sezione Montevecchia Manzoniana: Vincenzo di Gregorio